Diario di un pendolare terza puntata: Li dove l'inferno divenne l'autostrada

Un’unica fila di auto e indignazione che da Pompei arrivava fino alle
porte di Napoli. Era questo lo spettacolo alle 7.00 del mattino, che mi si palesava mercoledì mattina imboccando l’autostrada con il pullman verso Napoli. La fila era il prodotto di un cantiere di pavimentazione a quell’ora ancora operativo per un guasto meccanico a una macchina. In pancia m’iniziava a ribollire l’indignazione, com’era possibile? Già il pessimo funzionamento della ferrovia circumvesuviana ci costringeva a ripiegare su un pullman di linea privato, ora ci si metteva anche la società Autostrade a rendere un calvario, il recarsi lavoro? mercoledì  4 dicembre 2013, per insipienza, per approssimazione e incompetenza qualcuno aggiungeva alle quotidiane difficoltà una propria chicca personale. Scegliere di mantenere un cantiere in funzione, a quell’ora del mattino, provocava la paralisi totale della circolazione. Con tempi di percorrenza dell’autostrada al limite dell’assurdo. Quattro ore per fare venti Kilometri. Così io, come migliaia di lavoratori, divenivo ostaggio dell’incompetenza. Mi guardavo intorno e tra i miei compagni di viaggio era caos e disperazione. Appuntamenti saltati, ore di permessi a lavoro che non potevano più essere sufficienti. Un vero e proprio delirio. Costatavo che tutto questo avrebbe prodotto conseguenze sulla funzionalità degli uffici e quindi sull’efficienza del sistema produttivo napoletano. Un effetto farfalla quindi, una decisione assurda che metteva in ginocchio una parte della provincia di Napoli. La condizione era indubbiamente surreale, si camminava a una sola corsia, perché, a quanto sembra, una delle macchine asfaltatrici del cantiere notturno si era arrestata e quindi il completamento dei lavori non era stato possibile entro il sorgere del sole. Sottovalutando le conseguenze di una simile scelta. Molti dei miei compagni di viaggio non potevano recarsi a lavoro, altri dovevano dar fondo a permessi orari che man mano che passava il tempo variavano nell’entità. L’autostrada diveniva ben presto un succedersi d’imprecazioni e telefonate. Chi aveva chiamato in ufficio per comunicare il ritardo di un’ora, doveva ben presto correggere la comunicazione raddoppiando o triplicando il tempo del ritardo. Non tutti avevano alla fine dell’anno un numero di permessi sufficienti a coprire l’equivalente di mezza giornata lavorativa, per cui qualcuno era costretto a mutare il permesso orario appena preso in una beffarda giornata di ferie, passata per metà rinchiuso in un pullman fermo su un nastro d’asfalto. Di soccorsi non un’ombra d’informazioni men che nulla, se non quelle attivate direttamente dai viaggiatori, in un tam tam di telefonate che ormai è una rete di protezione dei pendolari Campani Ed io che dovevo proseguire il mio viaggio verso Roma vedevo saltare quattro appuntamenti con il mio prossimo freccia Rossa, e dopo essermi svegliato alle 5.15 e salito su un pullman alle 6.30, mi ritrovavo sul treno verso alle 10.40 per giungere in ufficio alle 12.40. 

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