Diario di un pendolare seconda puntata

Vista da uno scalino
Il mondo visto seduto su uno scalino. Il mio mondo in questo momento è un vagone ferroviario. Uno di quei vagoni silurati, una roba fine, quelli che chiamano, la freccia rossa. Io da piccolo amavo quella azzurra, di freccia, ma non per senso politico, perché quel cartone mi piaceva e la voce del treno la dava Dario Fo. Invece oggi il treno non parla, sfreccia veloce. E innanzi ai miei occhi, sopra la mia testa, passano le gambe dei viaggiatori, di quelli che hanno un posto a sedere. Ed io sto qui seduto, su un gradino e guardo da basso questo mondo qui. Quello di chi viaggia, per piacere, per affari, per salute e chi come me viaggia per lavoro. Pendolare, è il termine con cui mi appellano. A me, come a migliaia, e ogni giorno con loro vado su e giù tra Napoli e Roma, come un pendolo, appunto. E come un pendolo corro, mi dimeno, conosco tutti i segreti per evitare farmi intrappolare negli imprevisti del trasporto pubblico. Quelli che finiscono per derubarti gli ultimi brandelli di libertà, che son rimasti del misero tempo delle mie giornate. Oggi son qui seduto a terra perché son stato eliminato per tre volte in quella battaglia navale del posto a sedere. C15, D14, A2, tre poltrone, tre eliminazioni. E quegli sguardi di soddisfazione, di perfidia e di rimprovero con cui il possessore della prenotazione ti dice "questo è il mio posto", ormai non li sento manco più. Mi stanca ormai spiegare che ho un abbonamento, che ogni mese pago in anticipo 400 euro a Trenitalia, la quale se li intasca e non mi garantisce il posto e con quei soldi finanzia quelle offerte speciali a 20 Euro con cui riempie i vagoni. Della sua stupida prenotazione non mi frega nulla, vorrei solo che lui rispettasse me e la mia fatica quotidiana. Cosa ne può sapere lui acquirente orgoglioso del biglietto in offerta, di quanta fatica c’è nella vita del pendolare?
Oggi ho avuto una giornata dura, che non è ancora finita.  Ho un pazzesco freddo nell'anima e desideravo addormentarmi su di una poltrona, volevo essere più riposato per stasera. E invece sto qui seduto in terra e scrivo. Desidererei solo che fosse venerdì e domani non dovermi alzare alle cinque, nuovamente. E vorrei non aver letto Fitzgerald e il suo maledetto Tenera è la notte, e che quella frase non mi fosse rimasta conficcata nel cervello, ma soprattutto non vorrei averla ritrovata in questi giorni su quel maledetto stato di Facebook. Perché mi fa desiderare ciò che non ho. Come il posto a sedere da cui son stato appena eliminato.

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