Albeggia, il selciato è bagnato, l'aria profuma di pioggia. Alzo gli
occhi al cielo si annuncia un raggio di sole. Anche una piccola cosa così ti
può donare un sorriso. Salgo sul pullman, si riempirà come un uovo, ben presto.
Inizia la mia giornata da pendolare verso Roma. Ieri sera è stata dura. L’alta
velocità, si quella modernità tanto decantata, faceva ritardo. Non un ritardo
da nulla. Ben quarantacinque minuti dopo partiva quella maledetta, per un
banale guasto tecnico. Era l’unica luce rossa accesa su quel tabellone
luminoso. Quella luce rossa parlava a me. Mi diceva che avrei perso l’ultimo
pullman per Castellammare. Dopo mi sarebbe toccata la lotteria della
Circumvesuviana. Sì perché quel trenino un tempo così comodo, oggi prenderlo è
come acquistare il gratta e vinci. Compri il biglietto e scommetti sulla tua
fortuna. Se lo sei, vinci la corsa, e in quaranta minuti circa ti ritrovi a
destinazione, se non lo sei, ti tocca di attendere ore, ti vedi passare sotto
gli occhi, i treni cancellati, e per ogni corsa che è cancellata, sei sicuro
che aumenta l’inferno del tuo viaggio. Perché in quei vagoni, immutati di
numero tenteranno di entrare tutti quelli come te che attendono la loro corsa
fortunata. Così il treno diviene una tonnara, collocati secondo un layout improbabile.
Se ci si potesse sospendere al soffitto, anche quel filo d’aria sarebbe consumato.
E pensa com’è viaggiare, in questo modo, un pomeriggio di luglio, quando fuori
il sole batte e dentro la temperatura raggiunge i quaranta gradi. E poi c’è
l’attesa alla stazione di Piazza Garibaldi, un’attesa che di sera assume i
contorni del thriller. Ieri sera son stato fortunato. Ha avuto effetto uno
strano car-sharing, un messaggio su Facebook, ha colto nel segno ed ho trovato
un buon amico che, uscendo da lavoro, mi ha raccolto e accompagnato. Ho sfidato
il temporale, e ho fatto l’ultimo tratto inerpicandomi a piedi sulla collina
nel buio, assorto nei miei pensieri complessi. Oggi sarà diverso, lo so, c’è
quell’accenno di sole che promette bene, sorride. E così mi appresto a sfidare
il traffico dell’autostrada per prendere ancora l’ennesima alta velocità.
Possibilmente quella delle 7.40 per arrivare in orario in ufficio. Se va male,
c’è quella delle 8.00, ma arriverò un po’ tardi. Sì perché quell’abbonamento
mensile acquistato a 356 Euro, mi da la facoltà di salire su ogni treno. Ma a
questa facoltà non si aggiunge un diritto al posto al sedere. Me lo dovrò cercare,
sperando che ci sia un posto libero sul treno. E nel cercarlo combatto con
centinaia di uomini e donne che come me, ogni mattina, fanno lo stesso
andirivieni. Anche loro hanno quell’abbonamento che dà il diritto di viaggiare
ma non quello di sedersi. E allora chi trova un posto libero si siede, chi no,
va alla carrozza ristorante approfittando della tolleranza degli operatori, e
per i più lenti, i più sfortunati, c’è la possibilità del viaggio in piedi,
sballottati dal movimento di quel bolide veloce, o al massimo seduti su uno dei
gradini delle carrozze, nei compartimenti di collegamento, dove spesso ci sono
i servizi igienici, a volte maleodoranti, e in inverno fa freddo e in estate fa
caldo. E questa ricerca si consuma in un eterno vagare, vago sul treno, vago
nelle stazioni, vago quando ti sposto da uno stazionamento all’altro. E quel
vagare mi stanca e mi addormenta l’anima. Guardati dall’esterno, noi pendolari,
dobbiamo essere davvero singolari, se un giorno a un anziano operatore ai
servizi di ristorazione, che guardandoci sfilare, ho ascoltato dire:
“Pendolari, facce tristi e stanche, chi lo sanno a che ora si son svegliati
stamane e chissà a che ora, torneranno a casa stasera!”. Una frase che forse
più di una foto, ha la forza di rappresentare un’esistenza. Un’esistenza che
costa fatica, vita e denaro. Alle 356 euro dell’abbonamento ferroviario,
aggiungi le 62 del pullman e i 35 dell’abbonamento alla metro di Roma. Per un totale
di 453 euro a mese, che è sempre più economico di un appartamento a Roma e dei
biglietti che mi servirebbero per tornare a casa nei fine settimana. Ma il
costo che pago è la libertà, la vita sociale. Esco quando è notte, torno a casa
che è già notte. Sempre di corsa e in ritardo, e in questo modo il lavoro è affannato
e affannoso. Oggi prenderò il treno delle 8.00 e non quello delle 7.40, perché
il traffico in autostrada ha fatto ritardare il pullman che ho preso al
capolinea alle 6.45 e che nel frattempo si è riempito a uovo, anche qui
viaggiare in piedi non è insolito, neanche oggi. Anche il treno ha un ritardo
di 15 minuti, e arrivato alla metro di Roma, scopro che è mercoledì, c’è
l’udienza papale e questo Papa ormai è una superstar, per cui le stazioni sono invase
dai pellegrini e per la mia corsa dovrò attendere un’altra mezz’ora. Nonostante
quel raggio di sole sono in ritardo,
sperando che stasera tutto fili liscio per arrivare in tempo a quella cena con
gli amici che almeno, nonostante la stanchezza, mi farà rilassare un po’, mi restituirà
una scheggia della mia vita. Perché domani si riprenderà sempre alle 5.30 e
potrebbe pure piovere, non come oggi che c’era quel raggio di sole.
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