L'ingresso dell'OPG di Aversa |
Sono gli occhi, quelli che ti colpiscono appena entri e incroci quei fantasmi vaganti nei reparti, i loro sguardi, spenti, piangenti comunque senza luce. Un unico bagliore che fa accendere per un solo istante quei bui fanali, avviene quando pronunciano la parola Libertà.
Sono gli internati dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa. Il luogo che stamattina abbiamo scelto di visitare per la giornata delle Carceri promossa da Sinistra Ecologia Libertà. Aversa non è come il Vecchio S. Eframo a Napoli. Quello era un luogo buio gotico che emanava angoscia pure se fosse stato vuoto. Per fortuna dopo lunghe battaglie quella fortezza soffocante oggi è chiusa. Aversa è luminosa ha un Parco, ha la sua fattoria. I vecchi padiglioni di costrizione sono ormai chiusi, abbandonati, a rappresentare solo la memoria di ciò che non dovrà mai più accadere. Oggi la struttura è diretta da una brava Direttrice, la dottoressa Palmieri, sensibile, il personale sanitario e quello carcerario, cercano di fare il loro meglio in questo inferno, scandendo il tempo che manca alla definitiva chiusura. Eppure quando stamane abbiamo varcato quel cancello, Gennaro Migliore, Peppe De Cristofaro, Giulio Riccio ed io ci siamo scambiati uno sguardo e abbiamo condiviso nel silenzio, la vergogna, l'angoscia, il soffocante desiderio di rompere quelle catene e restituire a quegli uomini la vita.
Perché si prova vergogna ad appartenere ad una umanità che ha scelto per anni di occultare questi corpi, dietro queste mura. Una vergogna di chi ha paura della follia e tende a nasconderla dal proprio sguardo, dal proprio io, pensando così di esorcizzarla. E l'angoscia ti assale quando scopri che molti internati li non dovrebbero esserci. Si chiamano "prosciolti", ma per loro è un nome beffa. Sono esseri umani che hanno scontato la loro pena a cui però nessun medico rilascia il certificato di sanità mentale. E quindi restano rinchiusi lì in un eterno ergastolo, ed ogni mese quell'inferno si nutre di una speranza, una visita a cui è legato il loro desiderio di libertà. Ma col passar del tempo la speranza si affievolisce e la loro anima muore e il loro sguardo si spegne. Sono dei " fine pena mai" la cui unica colpa è la loro solitudine. Perché spesso finisci in un OPG in quanto la tua malattia rende impossibile la convivenza con i tuoi cari che, in assenza di uno Stato Sociale efficiente, si arrendono e vedono la denuncia e il ricovero in quel lager come la liberazione da un incubo. E allora anche se non sei folle, anche se sei solo un tossico, malato di AIDS, paraplegico come Marco Cerqua rischi di finir rinchiuso in quell'inferno perché i tuoi familiari perdono la forza di assisterti. Invece dovresti essere altrove, dovresti essere curato, e lo sai e ti domandi perché sono qui?
Se sei un migrante, invece, l'opg ti è destinato per il reato più comune pronunciato tra quelle quattro celle: "Oltraggio a pubblico ufficiale, resistenza". Si perché se vieni dal Ghana ed un agente ti sequestra tutto ciò che hai per vivere, a volte puoi perdere il controllo. E se perdi quel controllo di te, finisci tra queste sbarre e per uscirne ti devi affidare alla sorte.
Terminiamo questo peregrinare infernale nel silenzio, pensando a cosa dobbiamo fare e ci riguardiamo negli occhi sapendo che domani mattina è nostro dovere tirar fuori da lì almeno Marco Cerqua prima che muoia, come è accaduto a tanti negli anni scorsi dietro quelle sbarre. E poi sai che dovrai al più presto tirare fuori tutti, anche quelli che sono così soli che da li non vogliono più uscire perché oltre quel recinto per loro c'è il vuoto. Per farlo c'è bisogno di un governo, per tirar fuori Marco e chiudere entro l'anno gli OPG questo Paese ha bisogno di essere governato. E appena riaccendiamo i telefoni avvertiamo un rumore che stride con questo bisogno.
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