Come cambierà la cucina italiana dopo l’onda devastante del covid-19, è un quesito che chi opera in questo settore deve iniziare a porsi. La crisi che sta attraversando il Food è devastante. Alcuni non riapriranno alla fine di questo periodo. Io stimo almeno il 20%. Altri lo faranno, ma con grosse difficoltà ad andare avanti e con il rischio di chiudere entro l’anno. Altri avranno dimensioni tali che, nel breve periodo, saranno costretti a riconvertire le proprie attività. Almeno fino a quando saremo chiamati a convivere col virus.
Chi resterà dovrà fare i conti con la crisi di sistema che nel frattempo si sarà generata. È vero che per pochi eletti il segmento del lusso resterà immutato. Quello è un segmento che non va in crisi. Mi ricordo di una conversazione con Angelo Gaia, anni fa, che faceva il paragone con le auto di lusso, le Ferrari. Che coniugando alta qualità a status simbol, trovano sempre il loro segmento in cui posizionarsi.
Ma questo segmento non è alla portata di tutti. È piccolo e si restringerà, e quindi sarà occupato da una esigua percentuale degli operatori.
Poi ci sarà tutto il resto, che è quello che ci interessa in questa breve analisi.
Scriveva Fulvio Zendrini qualche giorno fa:
“Avete presente quando un povero animale maltrattato viene fatto uscire dal recinto perché voi diventate il suo nuovo padrone ? Vi aspettate che corra subito ad accettare le vostre carezze ed il vostro cibo, per quanto le vostre intenzioni siano buone? Sarà così. Piano piano. Con calma, con dolcezza. Cominciando dalle cose semplici. Non più subito menu da 12 portate. Non più verticali da domani di bottiglie da 250 euro l’una. Non più mega suites e super lussi negli alberghi fin dal giorno uno. Dovremo rieducare il nostro cliente alle nostre carezze. Partendo con il calore della tradizione, con i sorrisi che riconosce e che fanno riconoscere. Con l’affetto e la vicinanza che scaldano il cuore. Un marketing della relazione, insomma.”
Ecco sono persuaso che ci sarà necessariamente un nuovo salto d’epoca nella cucina. Una inversione rispetto all’immateriale, che era la strada che si stava percorrendo fino ad ieri. Per un ritorno alla radicalità della cucina. Radicalità intesa come riprendere ispirazione dalle origini. Dalla cucina antica delle nonne, dai contadini, dagli allevatori, dai produttori, dagli artigiani. E radicalità intesa come la cucina delle radici, dei tuberi, la cucina della materia prima povera.
La grande cucina italiana è nata dalla fame della guerra non dimentichiamolo, mai. Peppino Cantarelli fa quello che fa perché il suo è straordinariamente un inno alla fine della fame. Una celebrazione di una nuova era, in cui a guidare il palato non era più lo stomaco, ma l’anima. Quella cucina aveva come suo punto di riferimento il suo recente passato di carestia. E carestia non significa necessariamente cattiva cucina. Piatti fenomenali ancora oggi, possono nascere da piatti di carestia.
La minestra di talle di zucchine di Gennaro Esposito, che a mio avviso resta ancora un piatto memorabile, che cosa è se non la riabilitazione di un piatto della fame? I talli di zucchine, sono escrescenze, potature, scarti, da cui nasce un grande piatto.
Il periodo da cui provenivamo aveva iniziato ad agire sulla ricerca verso l’immateriale, un po’ presi anche dalla noia, dal perseguire ad ogni costo l’ innovazione e la spettacolarizzazione della cucina contemporanea. Il nuovo tempo, quello che verrà, ci farà rimettere i piedi a terra e torneremo ad una cucina più radicale. Radicale intesa come ritorno alle radici. Metaforiche e sostanziali. E a questo potrebbe nascere un nuovo movimento culinario. Di sostanza, buono e sostenibile. Una cucina agricoltrice, pescatrice e allevatrice.
Dove la trattoria di campagna, la locanda di mare, la baita di montagna assumeranno una centralità influenzando la ristorazione di città e spingendola verso il modello conviviale della Taverna.
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